Salvatierra - Frammento



Pedro Mairal


Traduzione di Anna Maria Farinato


(frammento)


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A nove anni Salvatierra ebbe un incidente durante una passeggiata a cavallo con i suoi cugini in un palmeto vicino al fiume. Salvatierra montava un leardo dal pelame temporalesco. Lo dipinse sempre così. Come una minaccia che ogni tanto ricompare nella sua pittura, un cavallo il cui mantello si confonde con il cielo plumbeo. L’animale si spaventò in pieno galoppo; una delle sgroppate disarcionò Salvatierra il quale rimase impigliato ad una staffa, appeso tra le zampe del leardo che fuggì tra gli alberi. I calci e le pestate gli fratturarono il cranio, la mandibola e gli lussarono l’anca.
I cugini lo trovarono mezz’ora dopo, nella boscaglia, ancora appeso al cavallo che pascolava tranquillo dietro ad un’acacia. Mio zio raccontava sempre che lo avevano riportato indietro lentamente e in lacrime, pensando che fosse morto.
Lo salvò la cuoca, una vecchia guercia che lo coprì, gli lavò le ferite con un intruglio di foglie, lo bendò con fasce pulite e lo mise a letto bisbigliandogli all’orecchio. Quando i miei nonni tornarono dal paese e videro in che condizioni era, nonna svenne.
Il mattino dopo di buon’ora comparve su un sulky un medico ubriaco; Salvatierra neppure lo sfiorò, per sua fortuna. Disse solo: «Bisogna aspettare» e continuò a venire ogni tre giorni, più per bere il vino del pranzo che per visitare il malato. Non sono mai riuscito a sapere il nome di quel dottore, ma so che fu lui a fare una cosa fondamentale per la vita di mio padre. Non solo lasciò che guarisse senza sottoporlo ai salassi e ai bagni gelidi che la medicina del tempo consigliava, ma in più, vedendo che migliorava, gli regalò degli acquerelli inglesi che arrivavano con una nave dal Paraguay.
Dopo l’incidente Salvatierra non parlò più. Riusciva a sentire ma non parlava. Non abbiamo mai saputo se il tuo mutismo fosse dovuto a cause fisiche o psicologiche, o alle due cose insieme. I tentativi di curarlo furono piuttosto casalinghi. Per esempio, gli lasciavano un bicchiere d’acqua in un posto in cui poteva vederlo ma non prenderlo e gli dicevano che non glielo avrebbero dato fino a che non avesse detto «acqua». Ma non ottennero un bel niente; anche se la sete lo tormentava, Salvatierra non proferiva parola.
Ottennero invece che Salvatierra disegnasse quel che gli pareva. Dopo, con gli acquerelli, cominciò a dipingere. I disegni di quel periodo non si sono conservati (di fatto, nel momento in cui, a vent’anni, cominciò a lavorare alla grande tela, bruciò tutta l’opera precedente). Raccontano che, durante la convalescenza, gli sistemavano il letto sotto la pergola, e che lui disegnava uccelli, cani, insetti, e faceva ritratti furtivi delle sue cugine adolescenti e delle zie cinquantenni che bevevano limonata fresca all’ombra del pomeriggio.


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La convalescenza e il mutismo lo relegarono al margine del ruolo stabilito per i gagliardi uomini sani della famiglia e lo liberarono dalle grandi aspettative del padre spagnolo. Mio nonno, Rafael Salvatierra, e suo fratello Pablo erano arrivati in Argentina a vent’anni, avevano lavorato come fittavoli a Concepción in Uruguay, poi come amministratori di terreni a Colón e più tardi, a quarant’anni suonati, erano riusciti a comprare delle terre sabbiose che nessuno voleva nella zona di Barrancales. A cena mio nonno, con un gesto che abbracciava la grande sala da pranzo ma che pretendeva di includere le leghe di campagna circostante, era solito dire ai suoi figli: «Io ho cominciato povero in canna e sono arrivato ad avere questo; voi cominciate da qui, vediamo fin dove arrivate». I calci del leardo esonerarono mio padre da quella sfida.
Diventò il mutino, lo scemo di famiglia. Lo lasciavano stare tra le donne, senza esigere da lui le prove di virilità che si esigevano dagli altri maschi, come sparare con lo schioppo, prendere al lazo o scozzonare vitelli. Passeggiava con le cugine che passavano a prenderlo e lo riportavano a casa, lo tenevano come un bambolotto, giocavano a fare le maestre e gli insegnavano tutto quel che sapevano. Lo costringevano a scrivere affinché non dimenticasse l’abbecedario, comunicavano attraverso parole annotate su una lavagna e facevano il bagno con lui nel fiume. Mia zia Dolores raccontava che quando le ragazze si cambiavano per entrare in acqua, tra i salici della riva, lo obbligavano a voltarsi di schiena. Lui applaudiva una volta – era il suo modo per chiedere se poteva già guardare – e loro gli rispondevano di no. Poco dopo applaudiva di nuovo e di nuovo loro gli dicevano di no, che non si azzardasse a voltarsi, finché non si sentivano le risate e lui si voltava e vedeva le sue cugine già in acqua.
Quello scherzo dev’essere stato una tortura per Salvatierra, perché nella sua opera compaiono spesso ragazze adolescenti che si cambiano d’abito alla luce verde dei salici della costa, ragazze spruzzate di sole, frettolose per il pudore della nudità. Di certo le dipingeva perché aveva bisogno di vedere, una volta per sempre, quelle scene che si erano svolte alle sue spalle e non aveva potuto guardare, quell’intimità luminosa così vicina e tuttavia proibita.


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(Salvatierra, Pedro Mairal, Bollati Boringhieri, Torino, 2009)