Salvatierra, Pedro Mairal, Bollati Boringhieri, Torino, 2009
A nove anni, una terribile caduta da cavallo fa temere per la vita di Juan Salvatierra. Il bambino si salva, ma rimane muto. Un mutismo che ne fa «lo scemo di famiglia», dispensandolo dalla vita cui gli uomini Salvatierra sono destinati: la terra, l’allevamento di bestiame, la caccia, le prove di forza e di virilità. Juan (nel romanzo però lo si chiama sempre Salvatierra) cresce con le donne di casa, che lo accudiscono e provvedono alla sua istruzione. Una scatola di acquerelli regalatagli dal medico che lo ha in cura si rivelerà fondamentale per il suo destino: nelle lunghe ore di convalescenza il bambino disegna e dipinge senza sosta. A vent’anni Salvatierra inizia ad attendere in segreto alla sua «autobiografia»: una serie di lunghissimi rotoli di tela su cui giorno per giorno annota diligentemente i fatti di cui è stato testimone a Barrancales, il piccolo paese argentino in riva al fiume Uruguay nel quale è nato e vivrà fino alla morte. Dopo la scomparsa dei genitori, i due figli di Salvatierra, Luis e Miguel (l’uno notaio, l’altro agente immobiliare) tornano da Buenos Aires a Barrancales per occuparsi dell’eredità. Incuriosito dalla monumentalità dell’opera lasciata dal padre (sessanta rotoli, per un totale di oltre quattro km di pittura), Miguel, il figlio minore, decide di mettere ordine nelle tele. Srotolare ognuno di quei giganteschi rotoli è per Miguel penetrare nella vita più intima del padre, che gli si svela ora come una figura, a dispetto delle convinzioni di tutti, incredibilmente «realizzata», con una vita piena e dai molti, inaspettati segreti. Sarà la ricerca dell’unico rotolo mancante dell’opera di Salvatierra, quello relativo all’anno 1961, a mettere Miguel e Luis di fronte a una verità sconvolgente.